Alle 2 di notte del 26 luglio 1944 alcuni colpi di arma da fuoco vengono esplosi nei dintorni di villa Giorgi, tra Sant’Alessio e Monte San Quirico. La tenuta è presidiata da una pattuglia di carabinieri, perché il proprietario – l’avvocato Gino Giorgi – è suocero di Edoardo Moroni, ministro dell’Agricoltura e delle Foreste della Repubblica Sociale Italiana.
Cosa è accaduto?
Di preciso non si sa. Stando ad alcune ricostruzioni, soldati tedeschi presenti sul posto – appartenenti al 40. Jager Regiment (fanteria leggera) della 20. Luftwaffen Feld-Division, ubriachi e gelosi di alcune donne del posto, al termine di una lite tra loro avrebbero sparato i colpi. Secondo altre versioni, sarebbero civili – più per spacconeria che per resistenza antifascista, visto che non ci sono partigiani attivi in zona – a sparare in direzione di una camionetta.
Sia come sia, il comando tedesco chiama in causa non meglio identificati partigiani scesi in paese per attaccarli. Alle cinque del mattino le truppe – con ogni probabilità del 40. Reggimento di fanteria leggera – arrivano in forze in paese e, dopo alcune ore di paura, nel pomeriggio iniziano il rastrellamento.
Vengono catturate dieci persone. Il primo è Aldo Bicocchi, un ragazzo che il giorno prima ha accompagnato Giorgi da Borgo a Mozzano, dove l’avvocato risiede, alla villa di Sant’Alessio. Poi è la volta di due coloni di Giorgi: Ivo Giusti e Foresto Pizza. Viene preso anche Giuseppe Giusti, fratello di Ivo, e carabiniere di guardia alla villa, insieme ad altri due agenti: uno, Silvio Ottoni, si nasconde in soffitta armato di mitra e bombe a mano; l’altro, Felice Cavallero viene arrestato. Poi tocca al cognato dei Giusti, Marino Lombardi, a un altro abitante del posto, Celestino Di Simo, a uno sfollato livornese, Michele Losappio e a un impiegato del Polverificio Maionchi, Pietro Orsi.
Intanto, Emilia Giusti, zia di Ivo e Giuseppe, saputo di quanto sta avvenendo, avvisa il genero Elio Matelli che lascia la casa per avere maggiori informazioni: pure lui viene arrestato dai tedeschi.
Sono ore drammatiche. L’avvocato Giorgi e il parroco don Angelo Fanucchi cercano un dialogo con i soldati, spiegano loro che non ci sono partigiani in zona, che la popolazione è pacifica.
Soltanto in tre vengono rilasciati: Bicocchi, che può così riaccompagnare Giorgi a Borgo a Mozzano; Losappio, perché ha cinque figli; e Matelli, pure lui padre di una bambina piccola e con la moglie al nono mese di gravidanza.
Gli altri sette, verso le 20.30, vengono caricati su un camion e condotti a Nocchi, presso il comando tedesco. Lungo il percorso, l’automezzo si ferma in località Bandiera (all’incrocio tra via per Camaiore e via della Maulina): i soldati hanno bisogno di mangiare e bere. Gli uomini catturati non ne approfittano per fuggire e rimangono sull’automezzo, nonostante alcune persone suggeriscano loro la fuga approfittando della momentanea assenza dei loro guardiani: a quanto pare, temono che, una volta scappati, i tedeschi tornino indietro a vendicarsi sui loro familiari o su altri compaesani.
Il giorno successivo, con i sette ancora a Villa Graziani, i tedeschi tornano a Sant’Alessio. La rappresaglia stavolta si concentra sul gruppo di case di proprietà delle famiglie Di Simo e Lombardi, che vengono fatte esplodere, e poi contro capanne, stalle e covoni di grano, incendiati, e contro il bestiame.
Quanto ai rastrellati, nel pomeriggio, dopo essere stati interrogati, i sette sono condotti a piedi da Nocchi a Pioppetti, una località tra Valpromaro e Montemagno. Viene dato loro un badile per scavarsi la fossa, dopodiché – alle 17 – Felice Cavallero (ventitré anni), Giuseppe Giusti (ventiquattro anni), Ivo Giusti (ventinove anni), Marino Lombardi (trent’anni), Celestino Di Simo (quarantasette anni), Pietro Orsi (quarantatré anni) e Foresto Pizza (trentatré anni) vengono fucilati.
Il parroco di Montemagno don Cesare Francesconi li fa seppellire meglio in una fossa, sempre a Pioppetti, poi, grazie all’interessamento di Olinto Giusti – fratello di due delle vittime – il comando tedesco provvede la settimana successiva a trasferire le salme a Sant’Alessio, dove trovano definitiva sepoltura.