Il 28 ottobre 1943 i tedeschi emettono un ordine, da eseguirsi entro il successivo 10 novembre: lo sgombero di “tutti gli edifici in muratura o in legname compresi fra il mare, il molo nord, il viale Margherita e il viale Marconi fino alla Fossa dell’Abate”. Case, negozi, uffici devono essere lasciati liberi.
Il motivo è semplice: l’intero arenile viene fortificato, la spiaggia diventa un enorme campo minato, il filo spinato occupa l’intero litorale.
Un’operazione militare che avrà la sue conseguenze nel dopoguerra: centimetro dopo centimetro – e sondando in profondità – dal molo alla Fossa dell’Abate la spiaggia deve essere sminata. Un lavoro che serve anche alla ricostruzione, al ritorno alla vita normale, alla ripresa dell’attività balneare, polmone dell’economia viareggina.
Il CLN, presieduto da Lamberto Manfredini, avvia una sottoscrizione popolare e costituisce un comitato Pro Viareggio (presieduto dal repubblicano Eugenio Barsanti) coinvolgendo tutti i viareggini, dagli imprenditori (un po’ restii, almeno inizialmente) agli operai.
Il 18 luglio 1945, purtroppo, una parte di mine rimosse esplode nei pressi dell’ex Palazzo Littorio e muoiono decine di persone, tra civili e militari alleati.