1 luglio 1944 – Sabato sera.
Nonostante la guerra, Villa Basilica continuava a condurre una vita piuttosto “normale”.
Il cielo stava diventando scuro, erano circa le 21 e gli abitanti del paese (in quel periodo più affollato del solito, dato che molti sfollati vi avevano trovato rifugio) passeggiavano in cerca di un po’ di refrigerio: era un’estate molto calda quella del ’44, così calda che la passeggiata che di solito terminava alla “Croce”, veniva prolungata fino in Costa.
Forse quelle passeggiate erano un buon mezzo per non pensare al brutto momento che l’Italia stava vivendo.
Il paese doveva essere al buio a causa delle norme sull’oscuramento.
Si era soliti rispettare queste norme in due modi: o semplicemente chiudendo le ante delle finestre oppure apponendo ai vetri appositi fogli di carta scura prodotti in uno stabilimento locale.
Improvvisamente fu sentito il rombo di un aereo che sorvolava il breve tratto di cielo sopra l’abitato. Pare che non fosse la prima volta che un aereo compiva quel tragitto, anche le sere precedenti era stato sentito. La cosa poteva non avere niente di strano, dal momento che aerei inglesi o americani avevano il compito di effettuare giri di ricognizione in zona.
Quella sera però il veivolo non fece alcun giro, ma lanciò sul paese il suo carico di morte.
Non erano bombe: gli “spezzoni” erano pezzi di ferro costruiti apposta per dilaniare le persone.
Testimoni raccontano che il primo cadde in Costa, un altro colpì la zona di San Paolo, diversi caddero intorno al centro del paese. Si pensa che l’obiettivo dell’azione potesse essere stato l’intero capoluogo, perché la traiettoria dei lanci segue una linea retta: dalla Costa, continuando per il Viale delle Mura e per quello della Rimembranza, fino ad arrivare in Piazza Vittorio Veneto.
Molti ordigni andarono a vuoto, ma la tragedia non risparmiò la comunità di Villa Basilica. Uno degli spezzoni cadde nell’angolo della piazza, dove quella sera si era concentrato un gran numero di persone: da poco era terminata una funzione religiosa in chiesa.
L’esplosione dilaniò il cavallo che trainava il barroccio usato per il trasporto di frutta e verdura, che – in quel momento – sostava per lo scarico su un lato della piazza. Il cavallo divenne l’eroe inconsapevole della tragedia, perché – con il suo corpo – fece da scudo ad altre potenziali vittime.
Ma la strage si era comunque compiuta.
Nei primi istanti prevalse il panico, ci fu un fuggi fuggi generale per trovare un riparo e soprattutto aria da respirare: chi era nel viale ricorda il senso di soffocamento e il potente spostamento d’aria.
Alcuni scapparono verso luoghi più sicuri, fuori dal centro del paese, ma altri accorsero in piazza, immaginando che fosse successo qualcosa di molto grave. In effetti ai loro occhi si presentò una scena straziante.
Le persone che sono state contattate alla ricerca di testimonianze raccontano che non hanno mai dimenticato quello che videro, quello che sentirono, le urla, gli odori…
Per terra, nell’angolo della piazza accanto alla chiesa, giaceva una decina di corpi orrendamente mutilati.
Senza soffermarsi su “inutili” dettagli, basta dire che le vittime furono ricomposte ed accompagnate alle loro case dai propri familiari, il cui coraggio – in quel momento – aveva vinto ogni forma di dolore, di paura e di raccapricci.
Soltanto una delle giovani ragazze non fu ricondotta alla propria abitazione: era la signorina a servizio da una delle famiglie più importanti del paese, non aveva genitori o parenti e il suo corpo fu posto nella chiesa della Misericordia.
Nemmeno il funerale si potè fare. Per evitare agglomeramenti troppo visibili (che potevano essere scambiate per truppe in movimento) le salme furono portate al cimitero in due volte, accompagnate solo dal parroco, da pochi membri delle Confraternite e da alcuni familiari.
Di ciò che si presentò agli occhi dei soccorritori non si è voluto ricordare nessun macabro particolare.
Nel rispetto della Memoria delle vittime si invita a ricordare i loro nomi, la loro giovane età e il loro sacrificio:
– BERNARDI OGARITA, di anni 30, e di sua figlia PERINI MARIA JOSE’ di anni 5
– CALAMARI TEODORA, di anni 48
– CIUCCI ROMOLO, di anni 67
– LANFRI TECLA, di anni 18
– MAZZOLINI ATTILIA, di anni 14
– PASQUINI FRANCESCA, di anni 18
– RENIERI ILIANA, di anni 14
– SCARDIGLIA PIERO, di anni 8
– TISMETTI LILIANA, di anni 18.
Le parole di Don Francesco Martini, parroco di Villa Basilica, descrivono chiaramente la sera della strage del 1 luglio ed il periodo immediatamente precedente.
“LA GUERRA ALLE PORTE DEL NOSTRO PAESE.
La notizia che i tedeschi in ritirata avrebbero opposto resistenza sulla linea gotica, a poca distanza da Villa Basilica, e che, quindi, anche il nostro Paese sarebbe divenuto teatro di operazioni procurò in tutti la più viva costernazione.
«Mio Dio, che cosa avverrà della mia Chiesa, delle case, dei miei Parrocchiani?», pensavo, ed ero tanto triste!
Intensificammo le preghiere e confidammo sinceramente nel Signore.
Di tanto in tanto il vento ci portava, da lontano, il rombo del cannone. Il paese era pieno di sfollati. Gente di Livorno martoriata, di Firenze, di Lucca, della campagna. Povera gente avvilita, stanca e molta senza più casa, senza mobilia.
Avevano perduto tutto.
Si univano a noi nella preghiera ed affollarono la nostra Chiesa.
Si era nel maggio 1944, organizzai un Pellegrinaggio alla Madonna delle Grazie, nell’Oratorio di Duomo. Tutti ci vennero! Eravamo più di 1000. Spettacolo commovente di Fede e di dolore. Tutti pregammo di vivo cuore e con grande devozione. I giorni passarono e passarono continuamente aerei sopra di noi con il loro carico micidiale destinato a procurare disgrazie ovunque. Ma non tardò l’ordigno orribile e terribile della morte!
1 luglio 1944, ore 22 – 1 Spezzonamento! 10 vittime innocenti!
Quale strazio! Era di sabato, stavo ancora in Chiesa a confessare. La gente fuori non prevedeva affatto quel che avvenne. Nessuno lo prevedeva! Nessuno! Fu improvviso. Un rombo di motore e più scoppi assordanti.
Il Confessionale tremò sballottandomi, i vetri della Chiesa caddero tutti in frantumi ed alcune donne svennero.
In Chiesa non vi furono morti. Corsi fuori. Il più terrificante spettacolo mi si presentò davanti agli occhi. Uno spezzone era caduto sul canto della piazza. Otto morti, uno vicino all’altro, alcuni dei quali completamente maciullati.
Quale spettacolo!! Detti a tutti l’assoluzione sotto condizione tremando e piangendo anch’io. Li componemmo alla meglio e li portammo alle proprie case. Insostenibile lo strazio dei famigliari. Vi furono anche dei feriti. Tre gravissimi.
Per fortuna era a Villa la macchina del Sig. Direttore della Cantoni, essendo, anche lui, sfollato qua. Furono portati subito all’ospedale. Due morirono e uno guarì.
In tutto 10 morti. Orribile bilancio!!
Un fanciullo di 8 anni ed una bambina di 4, quattro fanciulle dai 15 ai 18 anni, una di 12, una sposa, madre della bambina morta, di 30 anni, una di 45 ed un vecchio.
Ecco i grandi della terra! Ecco le loro prodezze! Ecco la guerra! Ecco la barbarie!
La sera dopo (domenica) li portammo al cimitero in due volte, senza corteo, io e pochi della Compagnia, per evitare agglomeramenti troppo visibili dagli aerei”.